Ciclismo: la guerra di Davide contro Golia
Quella che in gergo oggi viene chiamata la “tassa del sudore”, cioè l’applicazione di una sorta di imposta ai ciclisti amatoriali tesserati agli Enti di Promozione Sportiva di 25 euro l’anno che andrebbe a finanziare la Federazione Ciclismo anche qualora in quelle gare la Federazione non c’entrasse nulla, è ormai la punta di un vero e proprio iceberg. Da quando Giovanni Malagò è Presidente del Comitato Olimpico Nazionale Italiano, il CONI stesso, e le “sue” Federazioni Sportive, hanno assunto veri e propri atteggiamenti aggressivi verso gli Enti di promozione.
I motivi sono intuibili e molteplici: da una parte sicuramente un po’ di sana “invidia” sui numeri. Come è possibile che i 15 Enti, che assieme percepiscono fondi pubblici pari al solo 4% di quanto lo Stato destina alla promozione dello sport (mentre il restante 96% sparisce nei meandri di CONI e Federazioni), riescono poi ad affiliare ben i 2/3 delle società sportive del nostro Paese? Numeri che portano a domandarsi chi, tra i due contendenti, sia veramente il piccolo Davide, e chi, invece, il gigante Golia. La risposta sarebbe semplice, e starebbe proprio nella differenza filosofica che c’è nella natura di un Ente di Promozione Sportiva, quale ad esempio il Csi, e quello di una Federazione del CONI. Quest’ultima nasce per selezionare lo sport di “qualità”, cioè per portare pochi atleti scelti alle migliori prestazioni nazionali ed internazionali. Enti come il Csi sono nati invece per “promuovere” lo sport, anche se di basso profilo, nella gran massa degli italiani, per farli muovere e divertire, aggregare ed educare attraverso il movimento, senza guardare alla qualità del gesto né dare troppo peso al risultato. È lo sport amatoriale, o dilettantistico, che riguarda per sua natura milioni di italiani di tutte le età. Il vero problema è che gli Enti, con pochi soldi e molto volontariato, il proprio risultato lo raggiungono; mentre le Federazioni, pur lautamente pagate dallo Stato italiano, no.
Poche medaglie, poche qualificazioni azzurre sulla ribalta internazionale, poca considerazione al di fuori dei nostri confini. E allora, se non arrivano i risultati di qualità, forse ci si salva la faccia con la “quantità”, che si ottiene solo se si cerca di imbarcare nelle Federazioni le società che oggi gravitano negli Enti. Impresa impossibile, perché una società sportiva aderisce al Csi non perché non sa quale sia l’indirizzo della Federazione, ma evidentemente perché cerca un modello necessariamente diverso da quello. È improbabile quindi che, se non viene obbligata, lasci volentieri il proprio Ente di promozione.
Un altro motivo, a giustificazione di ciò che sta avvenendo tra Federazioni ed Enti, sta forse proprio nel “vil danaro”. Sarà un caso, ma le Federazioni più combattive sono proprio quelle che hanno buchi di bilancio da far rabbrividire; un bilancio costituito, in buona percentuale, da soldi pubblici. È evidente che la “bike card”, di fatto, è una sorta di tassa da pagare alla Federciclismo (che già alcuni anni fa aveva imposto agli Enti un ingiustificato rialzo dei costi delle loro tessere), per continuare a fare ciò che fino ad oggi si faceva senza alcun obolo. Questi soldi li incasserà la Federazione, anche se le gare non sono federali, per cercare di appianare i propri debiti; tuttavia è una “card” vuota, senza alcun servizio, senza alcuna assicurazione integrativa, senza nulla. Una “tassa”, appunto, ideata con il complice avvallo di due Enti (Acsi e Uisp) che, in barba agli altri Enti e, giocando su due partite diverse, hanno infine stretto un patto di ferro con la FCI nell’intento di risparmiarsi qualche decina di migliaia di euro e di essere loro ad accaparrarsi parte delle società che potrebbero abbandonare gli Enti non convenzionati.
La domanda resta infine una sola: ma gli Enti hanno bisogno delle Federazioni? Hanno bisogno di restare nell’aggressivo “sistema CONI”? Cosa hanno in comune la promozione sportiva e lo sport di prestazione? Se il motivo è la sola ripartizione di quel piccolo 4% di finanziamenti pubblici, allora la soluzione è semplice. Basta istituire un fondo presso il Governo, pari a quel 4% (che verrebbe tolto dal controllo del CONI), creando una sezione “sport promozionale” svincolata dai giochi federali, così da tutelare chi, da quelle regole, ha ormai solo dei danni. Altrimenti l’alternativa è accorpare in una unica convenzione i 160mila ciclisti amatoriali degli Enti, lasciando fuori i 35mila amatori federali, e poi vedere, di nascosto, l’effetto che fa…