I diritti civili degli sportivi di serie B
Nei giorni scorsi ho ricevuto una email dall’allenatore di una società sportiva affiliata al CSI: “Scrivo circa la partita del campionato CSI di pallavolo a cui ho preso parte come allenatore della mia squadra e che si è svolta ieri sera in trasferta. Mi riferisco in particolare alle attrezzature, visto che la gara si è svolta in mancanza di panchine per le giocatrici di riserva e di un adeguato seggiolone per l’arbitro. So che entrambi non sono obbligatori per lo svolgimento della partita e che la stessa si può disputare in via eccezionale in assenza di entrambi, ma ci ha stupito che le panchine, effettivamente presenti nella struttura, sono state lasciate in fondo alla palestra e riservate al pubblico dalla squadra di casa. Per quanto riguarda invece il seggiolone è stata utilizzata una comune scaletta a pioli da uso casalingo senza alcuna protezione morbida che, per quanto giudicata consona dall’arbitro, non ci sembrava affatto priva di rischi, sia per l’arbitro stesso che per le atlete in campo. Questo non vuole essere un reclamo formale, ma credo che nei prossimi incontri possa essere trovata una soluzione più consona e soprattutto più comoda e sicura. So bene che questo è un campionato amatoriale, e ci accontentiamo di ciò che basta per giocare, ma almeno un pensiero alla sicurezza mi sembrava doveroso farlo”. Questo giovane allenatore ha toccato un nervo scoperto e quel “ci accontentiamo di ciò che basta”, per quanto garbato e nobile d’animo, grida tutta la sua triste verità.
Non si può non condividerne le preoccupazioni; in effetti basta davvero molto poco per far sì che una palestra, pur essendo di proprietà comunale, o forse proprio perché lo è, possa essere “sicura” ed “accogliente” verso arbitri e avversari. Il fatto che si tratti di una gara di livello amatoriale non ci deve trarre in inganno; il dilettantismo ci porta a non essere fiscali fino al paradosso come spesso capita nelle partite federali anche più infime, dove la pomposità e rigidità di certe norme è spesso una facciata per fingere una improbabile importanza. Tuttavia la sicurezza e l’accoglienza sono valori morali prima che regole tecniche, che non dipendono tanto dal livello di bravura quanto piuttosto dalla “attenzione umana” che si ha verso gli altri. Viviamo nella Città Europea dello Sport, dove la maggioranza delle palestre scolastiche sono fuori delle norme di sicurezza, o igienico-sanitarie, o di decoro, e dove le poche strutture di pregio vengono riservate ad alcune possenti società sportive federali, e le altre vengono trascurate e affidate alle società di livello più basso. Viviamo in luoghi dove la dignità degli sportivi viene accreditata in funzione del loro livello tecnico, dove se sei meno bravo e meno ricco ti viene offerta la palestra meno bella e meno sicura, dove ti puoi anche far male che tanto non ci si perde nulla. Siamo tanto bravi a difendere anche i più indifendibili e strumentali “diritti civili”, quando invece non vediamo che nella palestra dietro l’angolo anche i nostri stessi più elementari diritti civili vengono disattesi ogni giorno. Viviamo in una civiltà dove i cittadini più discriminati sono proprio le persone comuni e più silenziose, quelle che “si accontentano di ciò che basta” e sono “di serie B” nello sport, e per le quali loro nessun politico alza mai la voce.